Le prime 10 sfide italiane (2015-2018)
PERCHÉ LA NECESSITÀ DI UN MANIFESTO DELLE CRITICITÀ IN NUTRIZIONE CLINICA E PREVENTIVA?
Perché le problematiche socio-sanitarie in cui la nutrizione gioca un ruolo di rilievo sono preponderanti e in crescita. Se si considera: obesità, diabete mellito tipo II, malnutrizione calorico-proteica, sarcopenia, disturbi dell’alimentazione e nutrizione, risultano complessivamente coinvolti non meno di 17.000.000 di italiani, per una spesa sanitaria complessiva annua non inferiore ai 30.000.000.000 di euro. Nel mondo, in termini di costi alla collettività, la sola obesità occupa il terzo posto dopo fumo di sigaretta e guerre e terrorismo (Mc Kinsey Global Institute analysis 2014).
Perché tali problematiche socio-sanitarie sono in preoccupante aumento in tutti i Paesi del mondo e sono fortemente correlate alla diffusione di errati stili di vita, non contrastabili con il solo intervento sanitario (preventivo e curativo). La visione globale della problematica risulta estremamente complessa, richiedendo una pianificazione a 360°. Per tale ragione debbono integrarsi competenze specialistiche multidisciplinari. Il Manifesto ha iniziato a coagulare tali competenze in una rete attualmente composta da 19 Società Scientifiche, 12 Università, 6 Fondazioni e Centri di Ricerca, 5 Associazioni di cittadini e pazienti.
Perché l’unico modo per affrontare una tale “emergenza” è quello di fare percepire con chiarezza a tutta la popolazione la stima quantitativa delle criticità, non tanto in termini percentuali, che
possono risultare riduttivi, quanto assoluti.
Perché in un periodo di prolungata recessione economica le risorse disponibili andrebbero allocate secondo criteri di oggettiva necessità, sulla base di documentate priorità.
Perché, pur risultando pressoché unanime la condivisione sull’importanza della prevenzione e intervento in ambito nutrizionale, si riscontra in realtà una insufficiente strutturazione di Unità Operative Pubbliche specificamente adibite.
Perché nonostante le raccomandazioni di autorevoli organismi internazionali di adoperarsi affinché il cibo sia in quantità sufficiente, sicuro e in grado di fornire il giusto apporto nutrizionale per mantenere la salute ed avere una vita attiva (World Food Summit del 1996), è ancora troppo poco diffusa la regolare monitorizzazione della composizione chimica degli alimenti prodotti, senza la quale risulta difficile definire le corrette modalità di assunzione.
Perché le politiche d’intervento attivate nei vari Paesi dimostrano ancora impostazioni fortemente settoriali e in parte condizionate da interessi economico-finanziari. Il 70 % di quanto si trova nel piatto a livello globale è prodotto da 10 multinazionali.
Perché l’occasione di EXPO 2015 è la giusta vetrina per dibattere, confrontarsi e ricevere attenzione mediatica e istituzionale.
CHE OBIETTIVI SI PREFIGGE IL MANIFESTO?
Attivare un’ampia riflessione di carattere scientifico, che possa portare all’attenzione di un pubblico globale temi che sono centrali per l’intera Comunità Internazionale non solo per la durata di Expo 2015.
Favorire la riflessione dei cittadini italiani, sottoposti ad una eccessiva e costante pressione mediatica su tali argomenti e fonte di crescente confusione ed insicurezza circa i comportamenti da seguire.
Fungere da strumento operativo d’indirizzo istituzionale per un intervallo temporale di almeno quattro anni, necessario per una efficace pianificazione degli interventi.
COSA NON VUOLE ESSERE IL MANIFESTO?
Una linea guida o un decalogo di nobili propositi, ma una analisi oggettiva corredata di azioni strategiche fattibili e possibilmente vincolanti.
“Nutrire il pianeta, energia per la vita” è lo slogan di EXPO 2015
Racchiude così tanti e variegati aspetti da rendere difficile un orientamento razionale. E’ come entrare in un grande museo senza un adeguata preparazione e chiarezza su cosa si voglia vedere; dopo le prime sale in cui ci si sforza di soffermarsi su quasi tutto, si esaurisce il bagaglio di attenzione e si sorvola sul tanto, troppo, rimanente. Ogni settore, ogni gruppo d’interesse “tira l’acqua al suo mulino” facendo apparire prioritario questo o quell’argomento:
è più importante la sostenibilità o la sicurezza alimentare, la corretta alimentazione o la biodiversità, la cultura legata al cibo o la tecnologia industriale, il cibo biologico o quello a chilometri zero, la filiera corta o il marchio di qualità e, ancora, che relazione c’è tra sano e naturale, sano e biologico, sano e industriale, sano ed eco-friendly?
E’ legittimo ed intuitivo chiedersi se il collegamento logico tra tutti questi aspetti abbia un inizio, inteso come nodo di origine di questa complessa rete. La risposta non può che ricondurci alla finalità del cibo che è quella di finirci in bocca e, possibilmente, nutrirci.
Cosa accade quando mettiamo in bocca un alimento? Lo valutiamo organoletticamente; “è buono o non è buono?” Se non ci è gradito non lo ingeriremo più ma, se ci piace, è molto probabile ci si chieda quanto se ne può mangiare prima che possa creare qualche problema di salute.
Per rispondere a questa fondamentale domanda per la conservazione della specie, dobbiamo conoscerne la composizione chimica sia in termini di nutrienti, che di molecole bioattive, che di eventuali inquinanti e tossici. E questo è proprio il “tallone d’Achille” del sistema: pochi dati, poca attenzione al problema, alcun interesse nell’investire in questa direzione da parte della maggior parte della produzione. Il cittadino/consumatore viene nel frattempo “anestetizzato” nella capacità di ragionamento dal bombardamento del marketing e dalla ridotta capacità di acquisto conseguente alla crisi in corso.
Desideriamo cibo tradizionale di qualità ma non si riflette sul fatto che tra un paio di decenni su questa terra saremo circa 9 miliardi ed a produrre attualmente tale cibo non è più del 25 della popolazione mondiale.
Come faremo a sfamare tutti?
E ancora, che pensiero ci scatena il fatto che il 75% dei cibi che ci ritroviamo nei piatti di tutto il mondo derivano da sole 10 multinazionali?
Perché siamo diventati così dannatamente individualisti da mettere in crisi le fondamenta della vita comunitaria?
Non interessa a nessuno conoscere i dati scientifici che correlano la salute di ognuno di noi con quella della collettività in cui viviamo?
Pensiamo che i soli interventi sanitari saranno in grado di contrastare le problematiche socio sanitarie emergenti; sovrappeso ed obesità in testa?
Quali le tre priorità emergenti?
In primis la ricerca del benessere e salute, che include inevitabilmente la sicurezza alimentare nel breve termine e, come detto, la conoscenza della composizione del cibo nel medio-lungo termine.
A parole e con molta ipocrisia cerchiamo tutti la salute e la poniamo al vertice dei desideri personali salvo poi assumere atteggiamenti e comportamenti alimentari contrari. Questo dovrebbe essere il “core” per qualsiasi ulteriore ragionamento sulla nutrizione del pianeta. Il livello d’importanza successivo dovrebbe essere costituito dall’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità.
Perché è successivo al precedente? Perché ritengo poco razionale salvaguardare l’ambiente se la specie umana rischia l’estinzione.
In questo contesto vanno considerate le problematiche collegate al biologico, agli OGM, alla biodiversità, ai km0. Lo strato più esterno è costituito dai criteri etico culturali nella scelta dei prodotti alimentari. Si pensi ad esempio alle criticità connesse alla grande distribuzione e alle relative offerte promozionali.
Questi tre livelli assieme costituiscono la qualità della nostra nutrizione. Solo recuperando consapevolezza di una problematica così complessa come quella alimentare globale potremo, paradossalmente, recuperare la giusta identità di esseri umani culturalmente avanzati. La diffusione epidemica di errati stili di vita, che costa attualmente in Italia non meno di 30 miliardi di euro all’anno per quelli connessi alla nutrizione, rischia di diventare fuori controllo in pochi anni se non si apportano correttivi concreti.
Ai 5 milioni di obesi attualmente presenti sul territorio nazionale (1 su 5 lo è ma pensa di non esserlo), con trend in crescita, si contrappongono 3 milioni di malnutriti negli ospedali, 4 milioni di anziani sarcopenici quasi ignorati e 6 milioni d’individui in povertà assoluta, di cui 1,5 milioni sono bambini.
Sono dati che non meritano attenzione?